Per un entanglement letterario

Nel suo libro su Heisenberg (Helgoland, Adelphi), Carlo Rovelli parla di una cosa di cui prima avevo solo
sentito dire: l’entanglement (“il vero tratto caratteristico della meccanica quantistica”, lo definisce).
Quello che ho capito dell’entanglement è stato questo.
“Un entanglement – dice Rovelli con la sua consueta ammirabile scrittura – è la situazione in cui si trovano
due cose o due persone che in qualche modo sono rimaste aggrovigliate fra loro, in senso letterale o
figurato. Annodamento, intricamento, coinvolgimento, intreccio, imbroglio, relazione sentimentale…

E ora la vera sorpresa:
“Nella fisica dei quanti, si chiama entanglement il fenomeno per cui due oggetti distanti fra loro, per
esempio due particelle che si sono incontrate nel passato, conservano una sorta di strano legame, come
potessero continuare una sorta di strano legame, come potessero continuare a palesarsi. […] Restano, si
dice, entangled, allacciati. E’ un fenomeno ben verificato in laboratorio. Recentemente scienziati cinesi
sono riusciti a mantenere in uno stato entangled due fotoni a distanza di migliaia di chilometri l’uno
dall’altro”.

Che continua con questi due brani:
“Il mio amico Lee mi ha raccontato che quando da ragazzo ha studiato l’entanglement ha poi passato ore
sdraiato sul letto a guardare il soffitto, pensando che ciascun atomo del suo corpo aveva interagito in un
qualche lontano passato contanti atomi dell’universo. Ciascun atomo del suo corpo doveva quindi essere
allacciato con miliardi di altri atomi sparsi nella galassia… Si sentiva mescolato col cosmo”.
“Insomma, anche se sappiamo tutto quello che c’è da sapere in una situazione particolare su un oggetto
singolo, se questo oggetto ha interagito con altri non sappiamo tutto di lui: ignoriamo le sue correlazioni
quegli altri oggetti dell’universo. La relazione fra due oggetti non è qualcosa che sia contenuta nell’uno o
nell’altro: e di più”.

Ritrovo nell’entanglement interpretato in senso metaforico, il fatto cruciale dello scrivere: a scrivere è un
altro. Un altro che scrive su un mondo che è presente ma di cui non ho che una vaga sensazione, come
forse il rapporto che esiste fra i due fotoni distanti migliaia di chilometri dell’esperimento cinese sopra
citato.

Ho trovato nell’entanglement una metafora dello scrivere. Lo scrittore è sempre in contatto con quel “di
più” di cui non sa quasi nulla, ma che fa parte della sua vita; quel di più che è altro, un altro che tuttavia è
con lui, a cui è entangled: forse, l’altro che siamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *